Quando la paura dell’abbandono non ci abbandona mai
La separazione è un processo ancestrale ed insito al legame stesso.
La prima separazione è quella della nascita, in cui il bambino lascia il ventre materno per affacciarsi al mondo. Da quel momento in poi la vita di ciascuno è fatta di una serie continua di unioni e distacchi, di perdite e di ricongiungimenti, di abbandoni e di nuove scoperte dell’altro e di sé.
Perché allora alcune separazioni sono più dolorose di altre?
I fattori in gioco sono numerosi e in psicologia lo studio è ampio e sfaccettato.
Per ogni separazione si presuppone la presenza di una relazione . La tendenza innata dell’uomo ad entrare in relazione è ampiamente documentata. La psicologia delle relazioni oggettuali ha permesso di evidenziare scientificamente come il bisogno di attaccamento sia un bisogno primario, a pari di quello del cibo. Nel caso del neonato questo bisogno ha precise funzionalità, e come un sistema omeostatico perfetto regola l’avvicinamento delle figure di accudimento in caso di necessità. Si attiva infatti il segnale del pianto e quindi il ricongiungimento con il caregiver. In situazioni ottimali la risposta pronta e coerente del genitore soddisfa il bisogno del bambino, che impara con il tempo a gestire le frustrazioni e a tollerare distacchi spaziali e temporali via via più lunghi.
Un buon attaccamento è caratterizzato dalla possibilità di allontanarsi dall’altro senza che questo venga vissuto come uno strappo o una frattura incolmabile. Ciò viene reso possibile dallo sviluppo dei cosiddetti MOI (modelli operativi interni) di se, dell’altro e della relazione. E’ questo che quando siamo bambini ci permette di esplorare l’ambiente entro certi confini, o di tollerare l’assenza della mamma quando siamo all’asilo, sicuri di quella immagine interna che ci permette di acquisire una fiducia di base e la sicurezza per tutte le successive relazioni. Le prime esperienze con le figure di attaccamento influenzano le aspettative sulle relazioni successive.
Tuttavia con gli anni si è superata la prospettiva strettamente deterministica della teoria dell’attaccamento di Bowlby, e si è individuata una qualità più flessibile di tali m.o.i., che mantengono plasticità e possibilità di arricchimento. Nonostante prime esperienze di relazione negative è possibile recuperare sicurezza e capacità di legami più funzionali, se ci si affaccia ad esperienze positive e “correttive” delle passate aspettative, che possono quindi rimodellare i nostri schemi cognitivi ed affettivi.
Ci sono purtroppo casi in cui al di là di situazioni reali di distacco si insinua costante la paura dell’abbandono.
E’ un vissuto che porta il soggetto a vivere con continua angoscia e tristezza la condizione di solitudine.
L’indisponibilità momentanea dell’altro rispetto alla nostra necessità di legame, la presenza di una vita autonoma nonostante la relazione affettiva di coppia, scatena ansie e angosce destrutturanti. Il legame con l’atro è totalizzante, quindi qualsiasi assenza dell’altro viene vissuta anche come “assenza di sé”. La percezione di se stessi è incompleta e si sgretola immediatamente, per far spazio a pensieri a volte paranoici di un mondo che non ci vuole.
Il paradosso risiede in questo gioco psichico di compensazione incrociata:
Il compagno o la compagna diventa collante per un identità precaria del soggetto, che non sente di “esistere” se non in presenza di altri.
In altri casi si rinuncia in partenza alla relazione, per paura di futuri abbandoni, e si fa fatica a costruire relazioni intime ed autentiche.
E’ fondamentale un lavoro psicoterapeutico su di se, che esplori le esperienze passate della persona, e il suo percorso affettivo e relazionale dall’infanzia sino alla situazione attuale.. E’ necessario individuare l’eventuale presenza di eventi traumatici (lutti, abbandoni, incuria o discuria delle figure di accudimento) occorsi nel periodo di sviluppo infantile, e utilizzare la stessa relazione terapeutica come un nuovo tipo di legame, in cui si accoglie accompagnando parallelamente alla conoscenza di sé e al dialogo con le proprie paure.
Prima ancora di continuare l’affannosa ricerca verso l’essere amati, occorre lavorare sulla nuova possibilità interna di sentirsi amabili.