Il CUTTING in adolescenza: farsi male per non sentire il dolore
L’autolesionismo è un fenomeno tipico dell’adolescenza che include diverse tipologie di condotte più o meno invasive e disfunzionali che determinano atti intenzionali che hanno lo scopo di indurre danno al corpo o a parti del corpo: si va da condotte compulsive quali l’onicofagia (mangiarsi le unghia) o la tricotillomania (tirarsi o strapparsi ciocche di capelli) a condotte impulsive che determinano l’infliggersi ripetuto di ferite e tagli sul corpo (cutting).
In particolare il cutting rappresenta a livello psicologico una perdita di controllo che ha lo scopo per chi la attua di ristabilire il controllo di un sé profondamente ferito a livello psichico. L’incapacità di gestire la propria emotività e di dare un nome al proprio disagio viene compensata facendo parlare il dolore del corpo, che si può sentire, vedere e controllare all’interno del rituale attivato dall’ autolesionista.
Il rituale del cutter è scandito da momenti precisi, con un inizio ed una fine. Alla continuità temporale del rito si aggiunge la completezza dello spazio: è quello del pezzo di corpo scelto come elemento da sacrificare per far rivivere il sé. Tagliare, macchiare di sangue vivo e rosso, disinfettare, ripulire. Infine poter riguardare le proprie cicatrici, come unico segno di continuità spazio temporale di un identità altrimenti a pezzi.
Tagliarsi e farsi del male assume quindi funzione anestetizzante rispetto ad un dolore più grande: il senso di inadeguatezza, la bassa autostima, le difficoltà e i conflitti in famiglia o a scuola. Situazioni di malessere o di frustrazione di fronte a cui ci si sente impotenti e sconfitti. Cause differenti possono dar luogo a una stessa sintomatologia. Più è precoce l’intervento e minore è il rischio di cronicizzazione e aggravamento del problema.
I genitori devono porre attenzione a piccoli segnali che troppo spesso vengono sottovalutati: il figlio si chiude in bagno per molto tempo, o ricerca comunque situazioni in cui potersi isolare; possiede e porta con sé oggetti taglienti o appuntiti, come lamette,coltellini, taglierini, pezzi di vetro; ha sempre le braccia e le gambe coperte, anche quando fa caldo. Ha macchie sulle lenzuola o sui vestiti, non giustificabili.
Quale atteggiamento devono adottare i genitori quando scoprono che il proprio figlio o la propria figlia si tagliano?
A volte la tendenza può essere quella di colpevolizzare il ragazzo accusandolo di ricercare attenzioni o di attuare quei gesti per emulazione. Proprio la grande diffusione tra i giovani di queste pratiche, che vengono condivise tramite discussioni di gruppo o con fotografie postate sui social network, porta spesso a liquidarle come fenomeno psicosociale dei giovani di oggi, e mette in ombra la sofferenza che sottende tali dinamiche quando si passa dalla sperimentazione alla coazione a ripetere.
Ciò che va compreso è che dietro tali condotte c’è sempre una richiesta di aiuto che non riesce ad essere tradotta in forma verbale e che viene incarnata nel corpo ferito come catarsi che guarisce.
Inutile è quindi chiedere al figlio di non farlo più. E’ importante in questi casi prestare invece attenzione e sostegno, e guidare il figlio verso una presa in carico psicoterapeutica del problema.
La cura psicologica permette al ragazzo di ritrovare le parole per simbolizzare la sofferenza senza agirla su di se. L’approccio psicoterapeutico deve muoversi su un doppio binario: da un lato individuare le cause del disagio psicologico, dall’altro fornire al ragazzo la possibilità di trovare strategie di coping più funzionali per gestire frustrazioni e rabbia.