Attacco di panico in adolescenza. Una lettura psicodinamica
L’attacco di panico è una condizione psicopatologica che rientra nella classificazione diagnostica dei disturbi d’ansia (DSM V – Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali). È un disturbo poliedrico nelle cause e nelle manifestazioni fisiche percepite dal paziente. È caratterizzato da una condizione improvvisa di terrore intenso a cui si accompagnano sintomi di tipo fisico (quali palpitazioni, sudorazione, tremori, senso di soffocamento, ecc.) e/o mentali (sensazione di stare per morire, depersonalizzazione, senso di irrealtà, paura di impazzire, ecc.). Il verificarsi della crisi di panico determina spesso nel paziente una conseguente “paura della paura”, un’ansia anticipatoria per paura che l’evento possa ripresentarsi, con attivazione conseguente di strategie di evitamento che restringono i campi di interesse e di vita del soggetto (non si utilizzano più i mezzi di trasporto, non si condividono situazioni di socializzazione, non si esce di casa).
L’età di esordio caratteristica è la tarda adolescenza e l’età adulta. Tuttavia attualmente si registra un’anticipazione dell’esordio della patologia, che colpisce anche scolari dai 12 anni in su.
È compito dello psicoterapeuta fare prima di tutto una diagnosi differenziale, e confutare eventuali ipotesi di patologia medica, consigliando opportuni accertamenti (funzionalità cardiaca, livelli ormonali, ecc.). Solo in questo modo si potranno eliminare sia nel ragazzo che nello specialista fantasmi di malattia fisica e procedere verso un’indagine di livello strettamente psicologico.
La fondamentale area psicologica da indagare per dare significato all’espressione sintomatica è quella del tempo di transizione dell’adolescenza. I problemi da affrontare sono connessi alla ristrutturazione identitaria, che riguarda l’aspetto corporeo ma anche l’assetto cognitivo del ragazzo, le sue credenze, la sua morale, i suoi schemi mentali di riferimento (lo psicanalista Bowlby definì tali schemi dell’io, dell’altro e della relazione come “moi” – modelli operativi interni). A questi fattori si aggiunge la necessità di individuazione sessuale che pone all’adolescente dubbi ulteriori sul “chi sono io?”.
Nuove conquiste, quali maggiore autonomia, nuova immagine corporea, nuovi vissuti pulsionali, vanno di pari passo con la percezione più o meno inconscia che qualcosa del proprio sé bambino è perduto. Questa consapevolezza può diventare particolarmente drammatica e tradursi nella sintomatologia di un attacco di panico, soprattutto in certi ragazzi che per temperamento e vicissitudini personali hanno una minore soglia di tolleranza dell’”incerto”, del vuoto e del conflitto che caratterizzano questo momento di ricostruzione di sé. Si sviluppa l’attacco di panico, quale soglia massima di attivazione ansiosa, in seguito alla consapevolezza del vuoto e alla sua negazione. Di fronte al conflitto arriva il blocco.
Perché oggi si assiste ad un aumento delle sintomatologie ansiose in adolescenza?
L’analisi va spostata sull’assetto sociale contemporaneo, dominato simbolicamente dal materno. Non si vuole intendere il predominio di istante femminili su istanze maschili, bensì ci si richiama a funzioni archetipicamente materne e paterne, ma assolvibili da genitori di qualsiasi genere e orientamento sessuale.
Oggi il concetto di “eclissi del padre” sintetizza un filone di indagine psicologica e sociologica che studia la carenza nei ragazzi di interiorizzazione del limite, dell’autorità, della tolleranza della frustrazione. Superata la visione freudiana di padre padrone castrante, resta comunque il padre come figura genitoriale che guida al riconoscimento del limite. Cosa accade se nella società i messaggi sono improntati ad un costante disconoscimento dell’importanza del limite? Se tutto si fonda su un materno soddisfacimento immediato del desiderio, sul rifiuto del sacrificio, sull’ideale di sé fondato prettamente su un’immagine corporea patinata e perfetta?
Da un punto di vista psicanalitico ciò significa che l’assetto nevrotico si manifesterà con psicopatologie legate al corpo, perché ambiente materno preedipico elettivo di racconto di sé. Non c’è mentalizzazione, risultato del superamento di una fase edipica di conflitto. Tutto resta confinato nel corporeo. Basti solo pensare ai disturbi alimentari classici (anoressia, bulimia) e “nuovi” (ortoressia, disturbo da alimentazione selettiva, anche detto “arfid”, ecc.) o alle diverse forme di autolesionismo non suicidario, patologie oggi molto rappresentate in fase adolescenziale.
Un altro elemento caratteristico della nostra contemporaneità è l’impegno improntato alla performance e alla necessità di riconoscimento. Questo fattore, caratteristico dell’adolescenza, oggi si scontra con un maggiore senso di frustrazione.
Alle modifiche e sfide costanti da affrontare si aggiungono oggi le difficoltà peculiari di una società con nuovi confini spazio temporali.
L’universo simbolico spaziale del giovane attuale è potenzialmente infinito. Maggiore libertà di movimento è lasciata nel quotidiano. Anche nei casi in cui ciò non accade lo spazio virtuale delle nuove tecnologie permette una fuga immediata ed un ampliamento esponenziale dei mondi in cui sperimentarsi. Lo spazio di vita si sforma, dilaga, e non sempre gli adulti sanno arginare. Non sempre si è in grado di inserire la segnaletica di pericolo che orienti il figlio durante la sua esplorazione autonoma. A figure genitoriali autoritarie si sono sostituiti genitori presenti, affettivi, ma spesso indecisi, fragili e incapaci di tenere il punto. Ad uno spazio sconfinato fa da contraltare un tempo ristretto, focalizzato sull’”hic et nunc”. A ragazzi proiettati verso il futuro e la speranza si sono sostituiti adolescenti bombardati dal senso di fallimento della società, che rimanda loro costantemente immagini di difficoltà a raggiungere i propri obiettivi. Finita la generazione dei figli che stanno meglio dei padri, oggi i giovani con cui si entra in contatto nella pratica clinica verbalizzano spesso la consapevolezza della difficoltà di trovare lavoro, dell’inutilità dello studio di livello superiore per raggiungere soddisfacenti posizioni socio-economiche. Manifestano una costruzione teorica basata sull’inutilità del sacrificio per raggiungere uno scopo, una soddisfazione più lontana nel tempo. Come dar loro torto? I messaggi sul futuro sono preoccupanti: corruzione, poco lavoro, costi della vita alti, difficoltà di accedere alla pensione. Non manca il futuro, ma la futuribilità.
La crisi di panico diventa espressione di tutto questo. Una rottura che impone il crollo delle difese contro l’angoscia interiore e insieme una rilettura della propria identità ferita.
Passando da una prospettiva macro a una micro, la maggior predisposizione attuale all’attacco di panico adolescenziale, dovuta al nuovo e precario assetto della società, si attiva tuttavia solo in concomitanza di fattori individuali dovuti alla storia personale del soggetto. Nella storia anamnestica di adolescenti con crisi di panico si incontrano episodi che hanno minato la capacità di resilienza, quali perdite o abbandoni precoci. Questa ferita lontana si riapre al momento del passaggio di crescita adolescenziale, in cui le difese e rigidità fino ad allora adottate risultano insufficienti. L’assetto psichico di questa tipologia di giovani è improntato alla rimozione delle emozioni, al rifiuto del cambiamento e alla negazione pulsionale. La caduta dell’onnipotenza infantile già avvenuta in precocissima età si riattiva lasciando in frantumi il ragazzo, che non riesce a gestire la fisiologica situazione borderline dello sviluppo e, incapace di mantenere lo “status quo”, somatizza la perdita di controllo con l’episodio dell’attacco di panico. È come se si mettesse in scena una catartica morte apparente, e si sviluppasse una coazione a ripetere questa morte interiore, che il soggetto non è riuscito a simbolizzare se non nel corpo.
L’attacco di panico deve essere visto quindi come grave condizione psicopatologica da prendere in carico ma anche come opportunità evolutiva. La psicoterapia dell’attacco di panico dà la possibilità all’adolescente di rimettersi in gioco e imparare a gestire le sfumature, le fragilità fino a quel momento negate, la conoscenza di personali parti ombra che possono essere potenziate per riprendere un percorso di sviluppo sereno e maggiormente integrato. Il lavoro sulle emozioni è difficile e doloroso ma allo stesso tempo fondamentale per aiutare il ragazzo a conoscersi meglio, ad accettare i propri limiti e ad abbracciare un nuovo stile di vita caratterizzato da meccanismi di difesa meno rigidi e dalla piena accettazione di sé.